A metà degli anni '90 era il sogno proibito di tanti ed ancora oggi miete "vittime" tra i motociclisti. Motore esaltante come la ciclistica, e l'ergonomia la rendeva sfruttabile anche sulle strade di tutti i giorni
Icona mondiale. Già nel 1990 inizarono a circolare voci e bozzetti su una inedita 250 2T Aprilia che, sulla scia dei successi raccolti sul mercato delle 125, traslasse verso nuove vette il concetto delle race replica di Noale. Passò qualche anno, il Motomondiale iniziava a regalare grandi soddisfazioni alla Casa di Ivano Beggio che, tra 125 e 250, cominciò a fare man bassa di titoli: quelli di Alessandro Gramigni e Kazuto Sakata poi, in 125, oltre ai trionfi in 250, la categoria regina al periodo, con Max Biaggi.
Qualche anno fa, il compianto Ivano Beggio, fondatore ed al periodo Presidente di Aprilia, raccontava su FB:
"Benchè tutte le Aprilia di quel periodo nascessero strettamente legate alle esperienze fatte in pista, la RS 250 è stata probabilmente la moto più “racing replica” realizzata. Ci riversammo tutta l’esperienza telaistica e ciclistica che avevamo, senza assolutamente alcun compromesso. Il motore andai personalmente a chiederlo alla Suzuki. Avevo qualche dubbio fossero d’accordo nel concederlo, visto che anche loro avevano una sportiva 250 due tempi a listino, la RGV, ma invece furono molto signorili. Ci rivolgemmo a loro perché in Aprilia non avevamo allora le possibilità economiche per realizzare un propulsore completamente nuovo, ma devo dire che questo trapianto (il nostro motore aveva in ogni caso alcune modifiche rispetto all’originale) non limitò la personalità della moto, che aveva un DNA 100% “made in Noale”, ci diede grandissime soddisfazioni commerciali in tutto il mondo contribuendo alla diffusione del marchio, e fu la nave scuola di tanti piloti. Grazie alla sua agilità e leggerezza, in alcuni tracciati dava la paga a moto di cubatura quadrupla!"
Questo è stata Aprilia RS 250. La cavalleria guadagnata rispetto al motore Suzuki, grazie al lavoro di Noale su cilindri, scarico e carburatori gestiti elettronicamente, permisero di arrivare a 70 cv all'albero. Telaio in lega di alluminio e magnesio, forcellone posteriore asimmetrico con monoammortizzatore regolabile, forcella Marzocchi da 40 mm regolabile e freni Brembo per la 2T italiana che vantava un peso a secco di 141 Kg. Menzione, infine, per il display digitale multifunzione, in grado di registrare i tempi sul giro. Una vera chicca per il periodo.
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