È stato un tempo in cui le moto da sogno non avevano bisogno di grandi effetti speciali per conquistare i ragazzi. Bastava una carena ispirata alla Dakar, una grafica vivace che profumava d’avventura, e un nome esotico, evocativo. Ci si accontentava di questo per sentirsi grandi, in un’Italia dove a sedici anni si poteva guidare già una moto vera, e con quella sentirsi invincibili. Aprilia lo aveva capito subito.
Aprilia Tuareg Rally: per chi è (e per chi non è)
A inizio anni ’80 era un’azienda giovane, in piena crescita, e nel 1984 lanciò la sua sfida al mondo dell’enduro con la ETX 125, un debutto concreto e ispirato, che l’anno seguente portò all’evoluzione con un nome che ora è sulla bocca di tutti gli appassionati: Tuareg. Era una moto che – a dispetto della piccola cilindrata (50 e 125) – aveva l’anima da grande.
Alta, slanciata, con il portafaro squadrato alla moda e il serbatoio maggiorato, sembrava pronta a partire per il Sahara. La 125 era costruita attorno al motore Rotax a due tempi già collaudato sulla ETX, con raffreddamento a liquido e valvola RAVE allo scarico. Un monocilindrico semplice ma brillante, che raggiungeva i 26 cavalli e che garantiva una guida vivace e affidabile. La ciclistica era pensata per affrontare anche lo sterrato impegnativo: forcella tradizionale e monoammortizzatore sul forcellone bibraccio scatolato, cerchi di 21” davanti e 17” dietro, freno a disco anteriore, tamburo al posteriore. Il serbatoio di 13 litri e la sella comoda la rendevano adatta anche ai tragitti medio-lunghi, almeno per l’epoca.
Ma il vero colpo d’occhio erano le linee da moto “grossa”, fatta per sognare, per sentirsi parte di un’avventura che iniziava appena girata la chiave, e che ha avuto come logica evoluzione la Tuareg 125 Rally, che puntava tutto sulle prestazioni con un motore 2 tempi Rotax da 34 CV a 10.750 giri, alimentato da un carburatore di 34 mm Ø. Il peso era di soli 100 kg.
La Rally diventò molto ambita, ma ebbe un mercato di nicchia per via della mancanza dell’avviamento elettrico, del miscelatore e del prezzo vicino ai 5 milioni di lire.
Ancora più prestazionale fu la versione 250 Rally, capace di ben 45 CV a 8000 giri e soli 105 kg, mentre meno esagerata – ma decisamente più adatta all’uso rilassato – la 350 spinta da un monocilindrico 4 tempi che erogava 33 CV a 7500 giri.
E mentre le moto che partecipavano alla Parigi-Dakar diventavano sempre più carenate e prestazionali, nel 1987 anche la Tuareg si vestiva da “maxi”. Questa nuova versione 125 era perfettamente in linea con le tendenze estetiche dell’epoca e sfoggiava un doppio fanale anteriore, parafango basso, e grafiche aggressive nelle due varianti cromatiche blu/bianco con sella blu, oppure rosso/bianco con sella rossa. A darle nuova linfa vitale era il motore Rotax 127, evoluzione diretta del propulsore montato sulla sportiva AF1 Project 108. Si trattava di un monocilindrico 2 tempi con valvola RAVE 2 allo scarico, avviamento elettrico e la consueta erogazione brillante. La potenza massima, però, rimase invariata rispetto alla precedente.
L’anno seguente, 1988, arrivò la Tuareg 125 Wind con linee più abbondanti e quasi futuristiche per l’epoca, enfatizzate da un codone più ingombrante a simulare il serbatoio posteriore. Per lei la potenza era di 28 cavalli, un piccolo salto in avanti per chi voleva più grinta; ma di contro c’era maggior peso e dimensioni che la rendevano meno agile sui percorsi più tecnici. Nel frattempo, la gamma si allargava anche verso l’alto. Finalmente, arriva la versione “media” destinata a sfidare le regine della categoria come Honda Dominator, Yamaha Ténéré e Cagiva Elefant, la Tuareg 600 Wind, una vera maxienduro progettata per gli sterrati veloci e i lunghi trasferimenti.
La moto pesava appena 148 kg, aveva una sella alta 86 cm da terra, e montava il robusto motore Rotax di 562 cc, con alesaggio e corsa di 94 x 81 mm. La distribuzione era monoalbero con quattro valvole e contralbero di equilibratura per contenere le vibrazioni. 46 cavalli a 7000 giri era il valore di potenza massima.
Anche la ciclistica era di buon livello e il design, fedele allo stile Aprilia degli anni Ottanta, era caratterizzato da linee “africane” e colori pastello, marchio di fabbrica della Casa di Noale.
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Tra l’89 e il ’92 arrivarono anche nuove versioni 125 e 50, ma le vendite puntarono verso il basso, e con l’attenzione dell’azienda sempre più rivolta al Motomondiale e alle sportive, non ci volle molto a mettere in archivio il progetto off-road. Come avrete capito, quindi, il concetto che ha portato Aprilia a sviluppare la nuova Tuareg Rally non nasce dal nulla: è il frutto di una storia che mette radici nei sogni di più di una generazione di motociclisti. Un passato che ha avuto un ruolo centrale nel definire il concetto della moto che oggi – declinata nella versione standard e in quella Rally – è in grado di attrarre sia gli appassionati più esigenti dell’off-road sia quei motociclisti “di ritorno” che riconoscono nel nome Tuareg una promessa di avventura. Una promessa che questa nuova generazione sembra in grado di mantenere.
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La prima moto da competizione prodotta a Noale risale al 1974: una 125 da cross. In pochi anni, nel 1977, arrivano i primi titoli italiani nelle classi 125 e 250, seguiti l’anno dopo dai primi podi nel Campionato del Mondo di cross. Il nome Aprilia Tuareg si fa largo nei rally già dall’85, ma è nel 1989 che arriva la prima storica partecipazione ufficiale alla Paris-Dakar, poi nel 2010 la rivoluzionaria RXV Rally 450 bicilindrica che torna alle gare sul deserto e sorprende tutti con tre vittorie di tappa e il terzo posto assoluto.
Ad oggi, Aprilia rimane l’ultima Casa motociclistica italiana ad aver vinto una tappa alla Dakar, nel 2012. Un’eredità importante che si riflette nella nuova generazione di Tuareg, vittoriosa alla Africa Eco Race e nei rally nazionali.
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