Questione di genere (e non solo)

Questione di genere (e non solo)
Che cosa è successo in questi ultimi anni ai testi che pubblicizzano auto o moto? E in generale a tutti i comunicati pubblicitari? Si è perso qualcosa? Si è guadagnato? Di sicuro, ci sono delle trappole...

Laura Cattaneo

18.08.2025 ( Aggiornata il 18.08.2025 09:43 )

Nella mia vita da copywriter (dicesi copywriter chi scrive i testi per la pubblicità in ogni sua forma, dallo spot al comunicato radio passando per le pagine sui giornali) ho lavorato per tantissimi marchi di motori. Macchine e moto più o meno italiane sono passate sulla mia scrivania, e io ho dovuto imparare tutto di loro per poterne narrare le gesta. Cilindrate, prestazioni esagerate grazie a un turbo a iniezione xy, assetti e allestimenti sono stati il mio pane quotidiano, e tante sono state le volte in cui colleghi sono venuti a chiedere consigli su una moto o una macchina, come se io fossi molto più che la copy che lavora sul lancio di quella moto piuttosto che di quell’altra.

Erano tempi diversi, un po’ ingenui, dove su tante cose nemmeno ci si faceva una domanda. La velocità era un valore puro, così come la sicurezza o il design. Si poteva dire che una macchina andava fortissimo senza farsi troppe paranoie: bastava avere un’idea creativa che trasmettesse quella della velocità in modo laterale, o al limite bastava mettere un asterisco che dicesse di non provarci nemmeno, se non in pista. Il pubblico a cui ci si rivolgeva era abbastanza chiaro: principalmente di sesso maschile, di età variabile dai 18 ai 50, intrippati per i motori potenti e con il mito della marca come status symbol.
Insomma, pochi fronzoli e tanta concretezza, senso dell’umorismo scarso e comunque non eccessivamente raffinato e voglia di mettersi in mostra attraverso un mezzo potente e rumoroso. Non vi offendete, ragazzi, la pubblicità ragiona per grandi gruppi di consumatori, e ci sta (o meglio: ci stava) che le cose siano (o meglio: fossero) tagliate un po’ spesse.

Scrivere di motori era divertente, e in qualche modo più facile.

Una cosa tra le tante: di che genere sono le moto e le macchine?
Femminile, ovviamente. Il problema nemmeno si poneva. La moto XY1200? Bella, potente, maneggevole, cattiva. La macchina AB? Anche se si chiamava Super Pippo era femmina. Sportiva, determinata, decisa, combattiva. 

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La comunicazione oggi

Ad un certo punto, senza che quasi ce ne rendessimo conto, tutto ha cominciato a complicarsi. Il pubblico femminile è diventato sempre più ampio e competente. Le automobili sono diventate familiari, gigantesche, adatte ad ospitare squadroni di bambini, biciclette e cani e ideali per essere condotte da padri “tatoni” in ansia per l’asilo e il saggio di danza. La velocità è diventata spendibile solo in pista, e le supersportive sono entrate per sempre nel modo degli influencer e dei loro video sui social.
Tutto è diventato confuso, indeterminato, pieno di trappole: meglio non dire che la macchina è bella rossa perché le verdi potrebbero rimanerci male, meglio non usare quella parola perché potrebbe dar adito a fraintendimento, meglio rappresentare ogni genere, colore e appartenenza per non offendere nessuno, meglio inserire anche un gatto perché altrimenti i felini ci restano male, meglio mettere anche un border collie che i golden retrivier sono sempre in mezzo a tutti gli spot. Alcune macchine hanno smesso di essere femmine e sono diventate maschie, e in alcuni spot è percepibile l’imbarazzo dello speaker che parla di un’auto come del “veicolo” che hai sempre voluto.

Come spesso capita, per non far torto a nessuno si è finito con il far torto a tutti. Tutti siamo diventati una massa rabbiosa che si offende per qualunque cosa, più attenti alla forma che alla sostanza, sostanzialmente incattiviti e molto infelici. E la pubblicità, che ragiona per macro temi, si è ritrovata intimidita e svuotata di contenuti, a parlare di moto e di macchine come di veicoli, senza più una vera personalità, un genere, una caratteristica unica e distintiva.
Che tristezza.

 

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