Dieci, solo dieci. Un articolo nato quasi per gioco, con l’idea di fare un elenco delle moto che hanno lasciato il segno, le pietre miliari del motociclismo. Ma sceglierne solo dieci obbliga a lasciare fuori troppi modelli!

10 moto che hanno fatto storia

<p>Si chiacchierava in una chat motociclistica delle moto che hanno portato innovazioni importanti, e del fatto che ultimamente le case si stanno livellando su modelli un po’ troppo analoghi uno all’altro.</p>
<p>Lo spunto è stato questo, che ha portato a un articolo che è un po’ anche una sofferenza: indicare<strong> le dieci moto che meritano di essere ricordate</strong>. Perché hanno portato <strong>svolte tecnologiche importanti</strong>, ma anche perché hanno segnato un’epoca, o aperto una strada. Solo dieci moto, e qui è la sofferenza. Perché abbiamo dovuto lasciarne fuori tante, tantissime! A cominciare dalle inglesi degli anni Cinquanta e Sessanta. Chi scrive aveva un debole per la BSA Rocket 3 di famiglia, sulla quale veniva portato dietro da bimbo. Ma se si parla di inglesi, come non citare la Triumph Bonneville T120 del 1959? Soprattutto considerando che un modello analogo (riprogettato) è tuttora a listino. Ok, ok, solo dieci moto, e niente trucchi per inserirne altre fuori classifica.</p>
<p>Torniamo alla nostra Top 10, per scoprire che gli anni Settanta e Ottanta sono stati prolifici di novità. Proprio lo spunto d’apertura dell’articolo. Appunto. Ma andiamo in ordine cronologico.</p>
<p><strong>Leggi anche: <a href="https://www.inmoto.it/news/epoca/2024/01/17-6980434/top5_moto_interessanti_che_diventeranno_storiche_nel_2024">Top5: moto interessanti che diventeranno storiche nel 2024</a></strong></p>
<h2>1969 – Honda CB 750 Four</h2>
<p><br /><em><span style="font-size: 10pt;">(Foto di <a href="https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Honda_CB750_Four_K1_1971.jpg" target="_blank" rel="noopener">Khaosaming</a>)</span></em></p>
<p>Immancabile pietra miliare. In un mondo di bicilindriche spesso poco affidabili,<strong> la <a href="https://www.inmoto.it/listino-nuovo/marche/honda">Honda</a> dà il via a una disruption,</strong> lanciando una quattro in linea con l’avviamento elettrico che va forte, non perde olio, ha un impianto elettrico che funziona bene, richiede poca manutenzione e offre affidabilità. Da segnalare una novità importante nel panorama dell’epoca:<strong> la strumentazione vede gli aghi di tachimetro e contagiri privi di oscillazioni</strong>. Verrà subito seguita dalla Kawasaki, con la Z900. Poi arriveranno gli altri costruttori.</p>
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<h2>1975 – Yamaha XT 500</h2>
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<p>Fino ad allora c’erano le stradali da una parte, di solito pluricilindriche, e le enduro dall’altra, con i loro motori 2T. <strong>L’XT 500 introduce una filosofia nuova, che un giorno verrà chiamata crossover.</strong> Un’endurona stradale semplice, un po’ scrambler, un po’ enduro. Però con un motore monocilindrico 4T di grossa cubatura. Che richiama i motori inglesi, e il Gilera 500. L’avviamento era a pedivella, croce e delizia dei grossi mono, che tante tibie e caviglie hanno mietuto con il temutissimo calcio di ritorno della pedivella. La Yamaha per andare incontro ai suoi clienti, sulla XT pensò uno spioncino con un segno bianco che appariva quando il motore era in compressione, pronto a ricevere il calcio giusto per l’avvio. Fu un successo enorme. Di lì a poco verranno i raid africani, l’XT crescerà di cilindrata, e arriverà un altro fenomeno commerciale incredibile, chiamato Ténéré. Dall’XT 500 è scaturita la moda delle endurone stradali con motori monocilindrici 4T.</p>
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<h2>1978 – Honda CBX 1000</h2>
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<p>Ogni tanto quelli della <a href="https://www.inmoto.it/listino-nuovo/marche/honda">Honda</a> vogliono riprendersi lo scettro di casa capace di proporre nuove tecnologie. Nove anni dopo la 750 Four, ecco il lancio del motore 6 cilindri in linea, con una naked capace di fare fuoco e fiamme. Doppio albero a camme in testa, 24 valvole, e una larghezza contenuta (solo 5 cm più della 750 Four) spostando dietro i cilindri l’alternatore. Non è però il motore il motivo per cui vi citiamo questa moto. La <strong>CBX 1000 è stata infatti la prima moto a montare una sospensione posteriore con leveraggio progressivo</strong>, battezzato Pro-Link dalla Honda. Si tratta di un sistema che mano a mano che la sospensione si comprime, la rende più rigida. In modo da risultare più confortevole nella marcia normale, ma anche più “sostenuta” nelle compressioni più brusche e nelle curve veloci. Oggi quasi tutte le moto adottano leveraggi progressivi sulla sospensione posteriore.</p>
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<h2>1979 – Ducati Pantah 500</h2>
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<p>Sarebbero molti i modelli <a href="https://www.inmoto.it/listino-nuovo/marche/ducati">Ducati</a> da citare. Ma la <strong>Pantah ha introdotto il comando della distribuzione a cinghia dentata</strong>. E questo motore, molto leggero (60 kg), sarà il capostipite di tutti i nuovi motori a L della casa bolognese. Motori ancora in produzione, 45 anni dopo, sebbene con i carter riprogettati e irrobustiti, per far crescere le cilindrate e le potenze.</p>
<p>La Pantah, nonostante il suo telaio in acciaio e alcuni dettagli un po’ grezzi, fu una sportiva leggera e performante, poi tramutata anche in moto da corsa (con grandi risultati).</p>
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<h2>1980/1 – Kawasaki Z1000</h2>
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<p><strong>Prima moto di serie ad adottare l’iniezione elettronica</strong>. Fu seguita a brevissimo dalla GPZ1100. Allora i puristi storsero il naso, perché ritenevano migliori i carburatori, sia dal punto di vista prestazionale sia da quello del carattere. L’iniezione però consentiva una maggiore omogeneità delle prestazioni, indipendentemente dalle condizioni meteo, aveva bisogno di meno manutenzione. E negli anni si sarebbe rivelata fondamentale per ridurre le emissioni inquinanti. Ma, cosa più importante, negli anni si è imparato a giocare con le mappature per dare caratteri diversi alle moto. Onore alla <a href="https://www.inmoto.it/listino-nuovo/marche/kawasaki">Kawasaki</a> per essere arrivata prima nella corsa alla commercializzazione di una moto dotata di tale tecnologia.</p>
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<h2>1980/2 – BMW R80 G/S</h2>
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<p>Mentre il mondo motociclistico andava verso maximoto sempre più performanti, la <a href="https://www.inmoto.it/listino-nuovo/marche/bmw-motorrad">BMW</a>, casa tedesca famosa per le sue raffinate Sport Touring, decideva di <strong>rompere la tradizione e dedicarsi anche al fuoristrada</strong>. Erano gli anni del boom della Parigi-Dakar, e la BMW tirò fuori la<strong> prima GS</strong>, una moto di rottura. Da considerare il forcellone posteriore monobraccio, che rendeva agile lo smontaggio della ruota in caso di foratura. Da questa moto derivò la versione racing per i raid africani che… vinse quattro edizioni della Dakar. La R80 G/S era una moto totale, fatta per andare ovunque in maniera comoda. A Berlino non lo sapevano, ma avevano dato il via a quello che nei successivi 40 anni sarà il loro modello più iconico e venduto.</p>
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<h2>1994 – Ducati 916</h2>
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<p>Dopo la Pantah, la F1 e l’888 (la prima con il 4 valvole), la <a href="https://www.inmoto.it/listino-nuovo/marche/ducati">Ducati</a> pesca il jolly con la 916, disegnata dal mitico Massimo Tamburini. Il motto del progettista era che se cade una vite a terra, anche una scimmia deve capire dove rimetterla. Per dire che una<strong> bella moto doveva essere semplice e razionale.</strong> La 916 era bellissima, e fu copiatissima, con il doppio faro anteriore e i due scarichi sottosella. Però era anche efficace. <strong>Nel Campionato Mondiale Superbike vinse tantissim</strong>o. Nella produzione fu una pietra miliare, poi evoluta dapprima con la 1098 e successivamente con la Panigale.</p>
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<h2>1996 – Honda CBR 1100 XX</h2>
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<p>Nacque per stupire, per ribadire la supremazia tecnologica della <a href="https://www.inmoto.it/listino-nuovo/marche/honda">Honda</a>.<strong> 164 cavalli e velocità massima appena superiore ai 300 km/h (fu la prima ad abbattere quel muro)</strong>. Era una sport touring velocissima, divoratrice di autostrade, ma anche inaspettatamente a suo agio sul misto e sullo stretto. Ed era anche semplice, con la sua forcella telescopica priva di regolazioni, o la frenata combinata, che tanto fece storcere il naso ai puristi. Fu seguita da modelli analoghi di altre case, che però puntarono più sull’aspetto prestazionale che non sull’equilibrio generale.</p>
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<h2>1998 – Honda Hornet 600</h2>
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<p><strong>L’abbiamo avuta davanti per anni senza accorgerci di che razza di moto la Honda ci avesse proposto.</strong> Aveva il telaio in alluminio (nella versione del 2007), era leggera, semplice e facile. Ma aveva 100 cavalli, con un motorino da soli 600 cc che amava girare alto e spingeva sempre. Aveva personalità, con quel singolo scarico a lato del codone. Ed era robustissima. Divenne un must, e per anni fu al primo posto nella classifica italiana delle vendite.</p>
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<h2>2003-2010 – Ducati Multistrada (2 e 4V)</h2>
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<p>Con la Multistrada la <strong>Ducati lancia il concetto di crossover sportiva</strong>. Una sportiva stradale con posizione in sella e immagine che richiama le moto da enduro. Ma è una stradale! La 2V, disegnata da Terblanche, ha una linea che non convince: troppo anticonvenzionale. Però è una moto incredibilmente facile da guidare, e ci vanno fluidi tutti su strada. Nel 2010 arriva l’immancabile svolta con l’adozione del motore 1200 4V. La Multistrada cambia però la sua anima, divenendo una moto meno rigida e più maxistradale. Rimane però facile da guidare e velocissima. Oggi è ancora un modello di successo, il capostipite di un segmento che in Italia è in testa alla classifica delle vendite.</p>
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<p>La nostra classifica finisce qui. <strong>E voi, che moto avreste inserito?</strong></p>

<p>Dieci, solo dieci. Un articolo nato quasi per gioco, con l’idea di fare un elenco delle moto che hanno lasciato il segno, le pietre miliari del motociclismo. Ma sceglierne solo dieci obbliga a lasciare fuori troppi modelli!</p>