Test Royal Enfield Himalayan Mana Black: inarrestabile giramondo

Diego D'Andrea
Pubblicato il 11 dicembre 2025, 08:39 (Aggiornato il 11 dicembre 2025, 08:57)
Raramente capita l’occasione di svolgere un test così approfondito, come nel caso dell’ultima versione della Royal Enfield Himalayan, svelata a EICMA, la Mana Black. Dopo averla utilizzata per diversi giorni in ogni possibile contesto d’uso, infatti, dal day by day, alla classica giornata di adventuring, compreso uno “stress-test” nell’area off-road del nostro centro prove a Vallelunga, il secondo banco prova è stato un viaggio avventuroso sulle strade dell’India in occasione del Motoverse (non perdete il racconto); ed è proprio qui che sono emersi alcuni aspetti della moto strettamente legati al suo Paese d’origine.
Royal Enfield Mana Black: cosa cambia
La versione Mana Black della Royal Enfield Himalayan 450, modello che dal suo arrivo sul mercato ha saputo ritagliarsi una buona fetta di estimatori, si distingue per alcuni particolari: paramani, parafango e sella “Black Rally”, cerchi a raggi di tipo tubeless, livrea “camo” dedicata e un’inedita seduta, che diversamente dal modello standard, è piatta, su un unico livello, più sostenuta e maggiormente rastremata; anche l’altezza da terra cambia, rispetto alla sella standard, passando da 825/845 mm in base alla regolazione desiderata agli 860 della Mana Black. In generale, quindi, un’impostazione (seppur solo in termini di stretta ergonomia) più orientata all’off-road.
Il prezzo sale a 6.600 euro, 700 in più della standard in colorazione Kaza Brown (la meno costosa).
Royal Enfield Mana Black: com'è fatta
Per il resto, l’Himalayan è sempre lei, spinta dall’ormai noto monocilindrico “Sherpa” raffreddato a liquido di 452 cc, capace di esprimere una potenza massima di 40 CV e 40 Nm di coppia a 5.500 giri. Il telaio è un robusto tubolare in acciaio e sfrutta il motore come elemento stressato. Il forcellone è asimmetrico mentre il comparto sospensioni si avvale di una forcella a steli rovesciati Showa SFF-BP di 43 mm (non regolabile) e di un monoammortizzatore collegato tramite leveraggio progressivo, regolabile nel precarico su 7 posizioni. Entrambi hanno escursione di 200 mm. L’impianto frenante è marcato ByBre con disco di 320 mm all’anteriore e 270 mm al posteriore.
L’elettronica di bordo sfrutta un acceleratore ride-by-wire con differenti riding mode, l’ABS è disinseribile, mentre manca il traction control. La strumentazione, un TFT di forma circolare, oltre alla connettività con lo smartphone offre la possibilità di navigazione con Google Map sia turn-by-turn che “a tutto schermo”.
Il peso della moto è di 196 kg con il serbatoio di 17 litri pieno al 90%, mentre le ruote hanno misure 21’’ all’anteriore e 17’’ al posteriore.

Royal Enfield Mana Black: come va su strada
La prima parte del test, quella nostrana, ha svelato subito una moto versatile e a suo agio ovunque. Nel traffico si muove in maniera spigliata e la sella più alta non va a scapito della facilità di gestione nelle manovre da fermo: si poggiano i piedi a terra senza particolari problemi. Una confidenza che si riverbera anche nella conduzione extra-urbana, dove il piccolo plexiglas, senza fare miracoli, garantisce comunque una discreta protezione dall’aria (lo si apprezza di più, invece, nell'uso in fuoristrada, dove non intralcia la vista quando si guida in piedi).
Tra le curve risulta insospettabilmente appagante. Una moto pensata per i viaggi avventurosi e le andature rilassate, che però non difetta di brillantezza grazie a un motore dalle prestazioni vivaci: gira basso e spinge davvero bene per essere un 450 mono, tirando fuori dai tornanti con brio. Anche la stabilità è di buon livello, merito di quote ciclistiche ben studiate, come vedremo più avanti. Le sospensioni, nonostante un’escursione di compromesso tra strada e fuoristrada, risultano abbastanza sostenute, trasmettendo allo stesso tempo in modo adeguato quel che accade sotto le ruote.

Royal Enfield Mana Black: come va in off-road
Ma la vera natura della Himalayan emerge quando si lascia l’asfalto simulando un tipico utilizzo adventuring: una robusta e convincente esploratrice, capace di arrampicarsi praticamente ovunque. In questo caso, l’aspetto delle performance passa in secondo piano. La moto, come accennato, ha quote ciclistiche conservative e molto “sane”. Te ne accorgi affrontando un tratto difficile, con sassi e pietre, lungo i quali, nonostante i continui colpi, la “Hima” quando si scompone ritrova subito un assetto neutro. Insomma, si rimette “in asse” all’istante permettendo di mantenere il controllo del mezzo con facilità. Un assetto, quindi, che non punta alla reattività ma ad un apprezzabile effetto “rassicurante” che spinge ad avventurarsi senza troppi patemi anche su terreni malmessi. Esattamente quello che ci si aspetta da una moto con cui viaggiare ovunque e su qualunque percorso.
Peccato solo per il peso, prossimo ai 200 kg, che seppur ben “posizionato” in certi casi si fa sentire; e per il manubrio che nella guida in piedi risulta un po’ basso. Messa sotto torchio nell’area off-road di Vallelunga (precisiamolo, snaturandone l’effettiva destinazione d’uso) le sospensioni, perfette sui classici trail, hanno mostrato i propri limiti, soprattutto in termini di escursione.
Da qui una riflessione: se Royal Enfield decidesse di mettere in campo una vera versione rally, più leggera, con ruota posteriore di 18’’ e sospensioni di maggiore escursione (intorno ai 230/240 mm), il risultato sarebbe un mezzo assolutamente interessante…
Royal Enfield Mana Black: il test in India
Di tutta questa analisi, il viaggio in India ha rappresentato la perfetta sintesi. Anzi, la “prova del 9” a cui si è aggiunto un importante tassello di valutazione. Circa 700 chilometri in due giorni, tra percorsi di ogni genere e momenti di traffico indiano livello “master-class”, hanno confermato tutte le doti di comfort e di ottima viaggiatrice “all-terrain”. La classica moto affidabile e confidente, che senti subito “tua” e non ti tradisce, con un assetto capace di digerire, senza batter ciglio, praticamente di tutto; compresi improvvisi tratti di strada scassata e voragini di ogni genere tra una traccia d’asfalto e l’altra affrontate a tutta velocità.
Ma il vero, prezioso, feedback, è stato sulla robustezza: una moto che nasce in India, per sopravvivere alle famigerate strade indiane, non ci sono dubbi… è destinata per forza di cose a durare nel tempo.
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